giovedì 17 febbraio 2011

ASSALTO AL CIELO... E A MONTECITORIO!

Editoriale di analisi della manifestazione del 13 febbraio a Roma – a cura del collettivo di studentesse LeMalefiche

La giornata del 13 febbraio – per noi studentesse che abbiamo vissuto il movimento nelle università e che costruiamo ogni giorno i nostri collettivi di genere in facoltà - è stata molto di più di quello che doveva essere secondo l'appello che la lanciava.
   
È stata di più di un giorno in cui dire “se non ora quando?” per stanchezza o frustrazione.
   
È stata molto di più anche di quello che ci aspettavamo: non solo l'invasione di piazza del Popolo, non solo un riprendere la parola per dirci indignate.
     

Il nostro 13 febbraio è cominciato all'una in punto a piazza Barberini, dove alcune donne si sono date appuntamento, in un centro di Roma semi addormentato, popolato solo da qualche turista per caso.
   
È cominciato quando sono iniziati a spuntare pacchi regalo, portati uno ad uno da più donne che si sono unite insieme: studentesse, migranti, precarie, mamme, bimbe, sex workers, lesbiche. Donne che si sono dirette sotto il ministero delle Politiche Sociali e del Welfare per restituire al mittente i "pacchi" che in questi anni il governo e la politica in generale hanno loro rifilato: l'obiezione di coscienza contro la RU486, la legge regionale

Tarzia, la Legge 40, il pacchetto sicurezza, l'aumento dell'età pensionabile, la proposta di legge Carfagna sulla prostituzione.
   
Leggi e abitudini di un paese moralista e religioso, ma anche alcune consuetudini: la tipica domanda che ci viene rivolta quando facciamo un colloquio è: “ma lei, signorina, vuole mettere su famiglia?”; ci fanno firmare lettere di dimissioni in bianco quando veniamo assunte, cosicché i nostri datori di lavoro possano “tutelarsi” (nel caso dovessimo rimanere incinte, stare male o avere da badare a qualche parente bisognoso di cui lo Stato non si occupa scaricando così su di noi - da sempre, ma speriamo non per sempre - tutto il lavoro di cura).
   
È così, rispedendo al mittente tutti questi pacchi, che abbiamo deciso di iniziare una giornata che volevamo costruire passo dopo passo secondo le nostre esigenze e attraverso un percorso partecipato.
   
Durante il corteo siamo state estremamente comunicative, con il volantinaggio delle carte, i cartelli, i nostri corpi, e i nostri sorrisi. Ma anche decise nel chiedere a gran voce lo sciopero generale: arrivate a Piazza del Popolo siamo state seguite da molte e sostenute nella richiesta.
   
Un coro che chiedeva dal basso a Susanna Camusso sul palco, di non sostenere le donne solo a parole nelle grandi giornate di mobilitazione, ma anche nel lavoro di tutti i giorni, quando la Cgil firma accordi che i diritti delle donne lavoratrici li distruggono, cedendo alla contrattazione invece di essere un sindacato di lotta.
   
Abbiamo intonato quel coro, insieme a tanti altri.
   
"Siamo tutte egiziane", "Né puttane né madonne siamo tante donne", "Non ci piace la legge che vuoi te, Olimpia Tarzia vattene", "Noi andiamo dove ci pare", "Non ci piace il governo che fai te, Berlusca vattene", "Berlusconi come Mubarak", "10 100 1000 masturbazioni", cori vecchi e nuovi, già sentiti o meno, ma che il 13 sembravano più forti, consapevoli.
   
Eravamo lontane da quella piazza tanto grande da non contenerci tutte, ma che ha rappresentato la voglia delle donne di uscire, di parlarsi e gurdarsi, sconosciute nella stessa strada, ascoltarsi, e sentirsi importanti, parte di un ragionamento che, bene o male, ha cercato di allargarsi per raggiungere tutte. Il nostro corteo è stato capace di dialogare, moltissimo al suo interno e ancora di più fuori, e questa è una pratica femminista che nessuno potrà mai toglierci.
   
Ma è stato quando già quella giornata ci aveva dato tanto che a piazza Colonna abbiamo dato vita ad un atto liberatorio degno della grandezza della giornata: dopo un accerchiamento perfetto, ci siamo sciolte in una corsa e in un urlo di sfogo verso tutto e tutti... le donne con ostinazione e risate si sono riprese una piazza  erennemente deserta, attraversata solo da quei fantasmi che popolano il nostro parlamento.
  
Siamo corse urlando il nostro dissenso nei confronti di un premier, un governo e una cultura che da anni fanno della donna ciò che vogliono: ne attaccano i diritti fondamentali, le libertà di scelta e i pochi servizi, la sfruttano e sottopagano nel mondo del lavoro, veicolano massaggi sessisti e di subordinazione dell'una all'altro in qualsiasi ambito, familiare, di studio, sociale, in tv, ne sfruttano il corpo per strumentalizzarlo prima e farne uso e consumo poi. Averlo fatto in quella giornata significa averlo fatto TUTTE, e non solo le poche che giornalmente hanno la possibilità di costruire un percorso di autorganizzazione ed emancipazione.
  
Solo dai video è possibile – forse - intuire il panico misto godimento che abbiamo espresso in quei momenti, entrando a piazza Colonna e andando oltre.
   
Ci volevano le donne per occupare Montecitorio.
   
La piazza richiedeva all'unanimità una sola cosa: dimissioni del governo!   
Ma la radicalità nell'arrivare sotto il Parlamento è stata contraddistinta dalla voglia di mandare a casa il governo Berlusconi non per sdegno morale, ma per la rabbia e la ferma opposizione alle politiche che questo governo sta portando avanti.

Le donne vogliono che il governo cada non perché sono indignate per le notti di Arcore, non perché i giudici finalmente hanno incriminato Berlusconi. Le donne chiedono le dimissioni del governo perché sono stanche di vedere i loro diritti e le loro libertà affossate.  
E per questo hanno scelto di scendere in piazza non da sole, ma con tutti coloro – anche uomini – che a quelle politiche vogliono ribellarsi.

Forse la giornata del 13 qualcosa ha segnato davvero... ci siamo rivendicate i nostri corpi! I nostri desideri! La nostra rabbia!
   
Molte delle donne che in quella giornata hanno manifestato sono scese in piazza per un'esigenza, una mal di pancia. Per voglia e bisogno.
   
Tante, tantissime, belle, rock&roll e LIBERATE.   

E al loro fianco hanno cercato tutte le lotte sociali che sono vive in questo paese.  

Abbiamo partecipato al movimento studentesco in autunno, abbiamo lavorato alla campagna per la ripubblicizzazione dell'acqua, abbiamo cercato di costruire rapporti con i lavoratori e le lavoratrici in lotta in questo paese, i soggetti LGBITQ, le migranti e i migranti. Ci impegnamo a far sì che queste realtà in rivolta riescano a parlarsi per riprendersi il presente e costruire il futuro.

Forse finalmente è arrivata l'ora di fare come in Egitto: le donne, come gli studenti e le studentesse, hanno mostrato di essere pronte.
Ora ci chiediamo se anche le altre lotte sociali ci stanno a mandare a casa questo governo... se non ora, quando?

   

LeMalefiche – collettivo di studentesse

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