mercoledì 26 gennaio 2011

SISTERS ARE DOIN' IT FOR THEMSELVES (TOO) - PERCHÉ SCENDERE IN PIAZZA IL 28 GENNAIO

editoriale a cura del collettivo LeMalefiche - Roma

Siamo parte di quel movimento che negli ultimi mesi è sceso in piazza contro la riforma Gelmini e contro l'ultimo attacco al diritto allo studio; siamo parte di una generazione che si sta ribellando, cosciente di non avere futuro.
 
La rabbia sociale che si è diffusa in questi mesi, esplosa il 14 dicembre nelle piazze, è testimonianza di una forte consapevolezza. Racconta della decisione di quella stessa generazione in rivolta di non restare inerme davanti ai continui attacchi ai diritti fondamentali, come l'università pubblica, la salute e il lavoro, e all'offensiva ugualmente violenta ai beni comuni, come le risorse ambientali e il territorio, da parte della politica istituzionale, in nome della crisi economica.

Come studentesse respingiamo con forza la riforma Gelmini che, insieme ai tagli imposti dall'ultima finanziaria, segna la fine dell'università pubblica. Tra i tanti criticabili provvedimenti, denunciamo come la riduzione del numero di ricercatori e ricercatrici comporti un sempre minor accesso delle donne alla carriera universitaria: le donne, pur rappresentando oggi il 58% dei laureati, hanno percentuali sempre più basse di occupazione quando si analizzano i gradi più alti della formazione e del curriculum accademico (ricercatrici 40%, prof.sse associate 32%, prof.sse ordinarie 14% e sono soltanto 2 le donne rettore). Non meno importanti sono gli effetti dell'entrata dei privati nei consigli di amministrazione degli atenei, dove imprenditori potranno di fatto pilotare direttamente i fondi per la ricerca secondo le proprie esigenze, e dell'accorpamento didattico di dipartimenti e intere facoltà: è facile immaginare come questo tipo di provvedimenti possa portare alla censura di alcune innovazioni disciplinari, come l'istituzione di corsi di Studi di genere, che con grande fatica in alcuni atenei si stava cercando di mettere in atto. Conseguenza di tutto questo è la sempre più carente offerta formativa, che pesa soprattutto sulle studentesse.

Volere un'università di massa, laica e pubblica è per noi ancora necessario: l'accesso all'istruzione è un passo indispensabile verso quell'emancipazione che le donne oggi pensano di aver conquistato, ma che invece viene loro rosicchiata di giorno in giorno.  
Non c’è la possibilità di essere libere di scegliere ed emanciparsi in un paese in cui le politiche sociali tendono a relegare la donna in casa e a delegarle tutto il lavoro di cura. Non c'è libertà di scelta quando i tagli previsti per la sanità portano a provvedimenti, come la proposta di legge Tarzia alla Regione Lazio, che mirano a definanziare i servizi pubblici come i consultori, luoghi di prevenzione e informazione sulla salute delle donne.
Non c'è libertà di scelta quando il peggioramento delle condizioni contrattuali e di lavoro ricade su lavoratrici che già vivono una condizione di maggiore oppressione rispetto ai loro colleghi uomini.
In questi giorni è sotto gli occhi di tutt* l'accordo proposto da Marchionne ai lavoratori e alle lavoratrici della FIAT: un attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori in nome di una  politica che tende unicamente al profitto dell'azienda; l'offensiva al settore metalmeccanico ricade su una categoria, quella delle operaie, che già subisce forti discriminazioni.
   
La nostra analisi parte da "La voce di 100.000 lavoratori-lavoratrici. Sintesi dei risultati dell'inchiesta nazionale sulla condizione delle metalmeccaniche e dei metalmeccanici in Italia" a cura di Eliana Como, pubblicata nel 2008, promossa dalla FIOM.

L'inchiesta è basata su 96.607 questionari validi, somministrati in circa 4000 imprese metalmeccaniche su tutto il territorio nazionale. Il fatto che il 44,4% delle lavoratrici e dei lavoratori intervistati non appartenga ad alcun sindacato, rafforza la significatività e la rappresentatività dei risultati e scongiura il rischio che questi siano influenzati.

Degli intervistati il 22% sono donne, ricalcando il dato ISTAT 2001 per cui la presenza femminile nel comparto metalmeccanico è pari al 20,5%.
 
Abbiamo letto tutta l'inchiesta in dettaglio e quello che ne è emerso è imbarazzante.

In un comparto in cui già le condizioni di vita e lavoro sono critiche per tutt*, per le lavoratrici diventano ancora peggiori dal punto di vista del salario, della salute, dell’alienazione, della precarietà e delle discriminazioni.

Considerando che l'indagine si riferisce al biennio 2007-2008, non possiamo che pensare che la situazione ad oggi sia ulteriormente peggiorata, visto l’accordo/ricatto che hanno subito e subiranno i/le operai* FIAT nei diversi stabilimenti.

Secondo l'inchiesta il reddito netto medio di un operaio è di 1,246 euro mensili. Tra le donne la media cala (una donna su 3 guadagna meno di 1000 euro al mese): i redditi mensili delle donne risultano più bassi di quelli degli uomini, anche a parità di mansione, qualifica, ore lavorative ed anzianità.
   
La maggior parte delle donne sono operaie (66%) o inserite come impiegate nell'amministrazione. Le persone a capo di settori e reparti sono quasi tutti uomini ed è impossibile trovare un lavoratore uomo che lavori per un capo donna. È così che assistiamo spesso a relazioni sociali che si traducono in intimidazioni, discriminazioni e violenze legate al genere (6,7%), alle preferenze sessuali (5,2%) e all'etnia (1,9%) o alla nazionalità (20%). Nei confronti delle donne quindi, soprattutto se migranti e particolarmente giovani: addirittura il 4,7% dichiara di essere stata vittima di violenze fisiche da parte di colleghi uomini.

Inoltre un operaio su 5 dichiara che l’informazione sulla sicurezza sul lavoro non è adeguata.

È alta tra le donne (47%) la consapevolezza dei danni che il proprio lavoro comporta sulla salute: soprattutto le giovani lavoratrici ritengono che non potranno svolgere la mansione che ricoprono attualmente anche quando avranno 50 anni.

Da un recente studio ISTAT emerge che il 76,2% del lavoro familiare nelle coppie italiane  è a carico delle donne, in questo ambito infatti possiamo "vantare" un primato europeo. L'inchiesta promossa dalla FIOM non fa che rincarare la dose: il 75% delle lavoratrici dichiara di aver dovuto accettare un contratto part-time a causa degli impegni familiari e per il 31% delle donne è previsto un orario lavorativo di 40 ore settimanali particolarmente parcellizzato e stressante (al quale si sommano altre 20 ore di lavoro domestico). È anche più facile che siano le donne ad avere un contratto precario (il 13% rispetto all'8% degli uomini).

In tutti gli ambiti analizzati dall'inchiesta le donne risultano subire ricatti e danni (fisici e materiali) nettamente superiori anche a parità di mansione, ore di lavoro, titolo di studio e anzianità rispetto ai colleghi uomini.

Ecco che su circa un milione di posti di lavoro persi per la crisi economica tra il 2008 e il 2009, le donne rappresentano la maggioranza, nonostante l’impiego delle donne in Italia sia di 10 punti inferiore alla media europea.   

In questa drammatica situazione è importante sottolineare come, sempre secondo i dati ISTAT, molti dei "no" al progetto di Marchionne a Mirafiori, siano stati espressi da donne.
 
Segno questo di consapevolezza e responsabilità delle metalmeccaniche che, di fronte ad un accordo che ne peggiorerà notevolmente le condizioni di lavoro, scelgono di non cedere al ricatto imposto dall’azienda.
   
Saremo a Cassino il 28 gennaio al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici doppiamente ricattabili, perché donne.
   
Oggi più che mai sentiamo la necessità di investire in un'unione delle lotte sociali tra studentesse, lavoratrici, precarie, migranti: è evidente la forte necessità di affrontare analisi e discussioni specifiche sulla condizione attuale delle donne; crediamo ci sia bisogno di un ragionamento ampio che vada dalle politiche securitarie, razziste e xenofobe, che vari governi hanno portato avanti in questo paese, alle politiche familiste della destra, agli stereotipi della televisione, alla strumentalizzazione dei nostri corpi.

Continuiamo a subire una duplice oppressione, quella di genere e quella che viviamo come studentesse e lavoratrici, sul luogo di lavoro, all'università o negli altri luoghi sociali in cui viviamo. Pensiamo quindi che proprio a partire da questi luoghi le donne devono riunirsi e autorganizzarsi, prendere coscienza della loro condizione e poi reagire, autodeterminandosi, radicalizzando e rafforzando così ogni forma di lotta.  

Ma una vittoria parziale è insufficiente: solo unendo le lotte si può rispondere alla rabbia che proviamo e che abbiamo portato in piazza, noi per prime, studentesse e donne in rivolta.

   
    PER QUESTO IL 28 GENNAIO TUTT* A CASSINO!

   
    LeMalefiche - Collettivo di studentesse dell'Università "Sapienza" di Roma